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giovedì 20 ottobre 2016

Step04. In Myth

04. I COLORI nel MITO

Ogni colore suscita e rappresenta un'emozione o uno stato d'animo e può essere legato in particolar modo a un ricordo, a un evento o a un racconto.
L'esperienza del colore rimanda alla propria cultura di appartenenza che va a influire senza che neanche ce ne rendiamo conto sulla percezione che ci provoca la visione di un determinato colore.

Nei differenti contesti socio-culturali i colori afferiscono a diversi significati, pertanto l'esperienza che gli individui fanno guardando un colore non rimanda esclusivamente a una percezione fisica, ma è descrivibile come una complessa esperienza psichica legata alla sfera della comunità di cui facciamo parte.

Diverse civiltà del passato utilizzavano il Mito* per spiegare e comprendere, attraverso le gesta di dei ed eroi come personificazione dei fenomeni naturali, i tanti misteri della natura.
Molti di questi miti ruotavano intorno al colore: nel mito greco di Iris, messaggera degli dei, la dea personificava l'arcobaleno che percorreva andando dal cielo alla terra.

Guerin - Morpheus ed Iris - 1811

Fin dall'antichità la pietra turchese, che si distingue per il suo colore e per la sua "mutevolezza" (subisce infatti facili alterazioni del suo colore), ha sempre attirato attenzione. I primi ritrovamenti di monili e altri oggetti in turchese risalgono al tempo degli antichi Egizi che hanno provveduto ad assegnarle un suo posto all'interno del mito:

La dea Hathor* era per gli antichi Egizi collegata a molteplici ruoli, la sua figura era direttamente correlata con l' Archetipo* delle grande madri protostoriche, dea dell'amore, della gioia, veniva considerata madre generatrice del dio Sole e allattatrice di Horus* e del suo rappresentante, il faraone. La sua figura, però, non si limitava a questo, Hathor proteggeva l'arte, la musica, il canto garantendo agli Egizi ricchezza, ma ricopriva anche il ruolo di protettrice dei morti, accogliendoli insieme a Osiride* nell'oltretomba.

Il legame che unisce Hathor al turchese è un legame che trova radici nella zona del Sinai dove gli Egizi estraevano in gran quantità questa gemma che era parte di un simbolismo rituale nelle cerimonie religiose: in esso venivano intagliati scarabei sacri e gioielli e se ne ricavavano pigmenti per dipingere statuette, mattoni e bassorilievi. Alla dea era tributato in questa zona un grande tempio ( link* ), uno dei pochi fuori dal territorio dell'Egitto, proprio a causa della presenza congiunta di questo luogo di culto e delle miniere questa divinità iniziò ad essere chiamata "Regina del Turchese". 

Dea Hathor

Per gli Indiani Navajo il turchese rappresentava un simbolo di ricchezza materiale e spirituale, un amuleto che portava prosperità e proteggeva la salute. Non stupisce ritrovare questa pietra all'interno dei miti di questo popolo:
Estsanatlehi* ("la donna cangiante") che era una delle divinità Navajo più venerate veniva chiamata "donna turchese".

Estsanatlehi era la dea della fertilità e della ricchezza, sposa del Dio sole Tsohanoai*  , aveva la caratteristica, secondo i Navajo, di cambiare aspetto con il trascorrere dell'anno passando dalle sembianze di una fanciulla in primavera a quelle di una vecchietta con il finire dell'anno. La sua figura veniva associata al granoturco che costituiva la principale forma di nutrimento degli Indiani Navajo.

La "donna turchese" veniva considerata una divinità molto generosa, era lei che aveva creato dal guscio di alcune conchiglie l'essere umano ed era lei che, secondo le credenze, insegnava agli uomini a governare gli elementi della natura regolamentando per loro i cicli lunari e quelli mestruali.
I rituali in suo onore erano una benedizione alle varie trasformazioni che avvengono nella vita come il matrimonio o l'ingresso nella maggiore età che veniva festeggiato dai Navajo con il rituale del Kinaalda*

Dea Estsanatlehi 

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